Si vuole che il primo nome della Calabria fosse stato "Aschenazia" dal suo primo abitatore "Aschenez", nipote di Jafet, figlio di Noe'. Egli sarebbe approdato sulla costa dove ora sorge Reggio Calabria, che, a perenne memoria dell'ipotetico avvenimento, ha intitolato a lui una strada: "via Aschenez ".

31 dicembre 2007

Tradizioni di Natale. La Strina

"La strina"è una splendida usanza tipica del territorio calabrese riscoperta negli ultimi anni dalle compagnie popolari che la ripropongono nel periodo natalizio ad un pubblico nuovo offrendo il canto augurale non più ad una singola famiglia, bensi ad un vasto uditorio.
La "strina" rappresentava un tipico "canto dei questuanti". Di casa in casa i suonatori andavano a portare la "buona novella" della nascita di Cristo, ottenendo in pagamento ed in ringraziamento uova, formaggio, olio, vino e salumi. Canto d'augurio per la solennità del Natale e per il nuovo anno, veniva cantato all'uscio delle famiglie facoltose, almeno inizialmente poi, con le migliorate condizioni economiche delle popolazioni rurali della Calabria, questa tradizione è andata via via scomparendo quasi del tutto per tornare, come prima accennato, ai giorni nostri a cura di compagnie popolari che si dedicano alla riscoperta ed al mantenimento delle antiche tradizioni. Ai giorni nostri viene portata da gruppi di ragazzi ed amici in casa dei parenti stretti e degli amici intimi per augurare di trascorrere felicemente le festività e tanta fortuna per il nuovo anno.
Viene solitamente accompagnata dal suono dei "sazeri" conosciuti anche come "murtali" o meglio ancora conosciuti come "ammaccasali". Si tratta semplicemente dell'antico attrezzo in bronzo usato per "ammaccare" il sale. Spesso al suono di uno o più di questi strumenti si accompagna una chitarra, un mandolino, un tamburello ed una fisarmonica. Tutto dipende dal numero dei "cantori". La "strina" viene solitamente effettuata nel periodo che va dalla serata della celebrazione della festa della Immacolata Concezione (8 dicembre) alla serata dell'Epifania (6 gennaio). Esiste anche un altro periodo dell'anno durante il quale la "strina" viene portata (portata a qualcuno) ed è il periodo di Carnevale. Poichè detto periodo cade sempre nell'alto inverno questa particolare "strina" è detta "strina di i supprissate".

Il canto inizia augurando all'intera famiglia tante gioie e benedizioni per passare poi agli auguri singoli ad ogni componente del nucleo familiare che viene chiamato per nome e al quale nome si lega un particolare augurio in rima. Si passa poi alla richiesta dei doni "fammi la strina" che, come detto, un tempo consisteva in beni di consumo e che oggi si risolve nell'invito ad entrare nella casa alla quale si è augurata la fortuna per una buona bevuta in compagnia. Si può facilmente immaginare lo stato di ebbrezza dei "cantaturi" alla fine del giro. Un tempo, come detto, il giro era molto lungo ed articolato e destinato alla raccolta di cibarie, adesso, solitamente si visita una sola famiglia o al massimo una famiglia alla sera. La "strina" ha il senso della solidarietà e dell'ospitalità tipico della gente di Calabria.

La porta si apre sempre... ma se non si apre ?
In questa rara ipotesi i "cantaturi" si vendicano con stornelli sdegnati e pieni di profezie di disgrazie (sia pure di non grave portata) del tipo "Mienzu sta casa ci penna nu lazzu, quanno ti lavi ti vu spezzà nu vrazzu"

Sia pure con molte varianti locali, seppur minime, il ritmo sul quale viene cantata la "strina" è identico in tutti i paesi e le versioni.

23 dicembre 2007

"Le tradizioni regionali del cenone e del pranzo di Natale"



E’ a tavola ed in famiglia che le tradizioni natalizie resistono meglio. Lo documenta una pubblicazione curata dalla Fiesa-Confesercenti in un “Viaggio nel Natale” che ricorda piatti e gusti che si tramandano da generazioni, talvolta per riproporli, altre volte solo per conservarne la memoria. Ecco dal libro alcune estrapolazioni, regione per regione, che intendono rammentare consuetudini senza tempo. Ne indichiamo “qualche assaggio”:

Abruzzo: cena di magro come in molte altre regioni. Si comincia di solito con le linguine alle vongole in bianco, poi parmigiana di cardi e fritto. Ed ancora l’immancabile capitone allo spiedo o in umido e legumi.

A pranzo trionfa il cardone in brodo (chiamato non a caso zuppa imperiale) cardi tagliati a pezzettini, polpettine di carne , quadratini di frittata al prezzemolo.

Chi se la…sente continua con agnello o tacchino, mentre si finisce con i dolci fra i quali spiccano le mandorle caramellate ed i fichi secchi ripieni di noci.

Basilicata: notte di Natale “impegnativa” con almeno 13 pietanze. Un numero che si trova anche in altre tradizioni. E non si fa a meno della pasta rappresentata dai rascatielli, fatti di semola di grano duro senza uova.

Tra i piatti natalizi si segnalano la minestra di cicoria lessata con aglio ed olio oppure i maccheroni. A ruota agnello arrosto o baccalà in umido.

Poi le fritture fra le quali campeggiano le “zeppole”.

Calabria: alla vigilia non possono mancare le fritture a cominciare dal cavolfiore e dalle zeppole, segue lo stoccafisso in umido oppure le salsicce con contorno di cime di rape ed il “lampasciuni”. Il pranzo di Natale prevede secondo tradizione 13 pietanze basate su alimenti poveri ed essenziali. Si comincia con la pasta al forno, polpettine di carne, salamino calabrese al peperoncino.

Seguono poi fritture di pesce, crostacei e gli avanzi del cenone perché, come si dice in queste zone, sono “benvenuti in casa”.

Campania: cenone sontuoso per la vigilia, anche quando i bilanci familiari non sono proprio floridi. In tavola arrivano gli spaghetti con le vongole, baccalà e capitone, i fritti, le torte salate. Ed alla fine ci si sbizzarrisce con i dolci a cominciare dagli “struffoli”.

A pranzo ancora un menu ricco di sapori: le tagliatelle e la tacchina al forno precedono una parata di fritture regale dai fegatini alle mozzarelle, dalle pizzelle all’uovo ai carciofi. E per rifiatare prima dei dolci ravanelli e finocchi conditi con olio, sale e pepe.

Emilia Romagna: anche in questa regione l’osservanza del magro non impedisce la sera di Natale cenoni gustosi a base di tortelli con ripieno di erbette, anguilla marinata e pesce fritto. A pranzo gli insostituibili cappelletti e tortellini rigorosamente in brodo, preceduti da un antipasto di culatello e fiocchetto. Dopo dei sontuosi “lessi” con l’aggiunta del cotechino e, per chi non si nega nulla, la mostarda.

E il dolce preferito per concludere è il torrone insieme alla “spongata” di Parma, pasta frolla farcita di frutta secca, miele ed altri aromi.

Friuli Venezia Giulia: tradizioni semplici per la notte di Natale con minestre, magari d’orzo e pesce. Poi a pranzo cotechino con crauti e conclusione a Trieste con la “putizza” dolce a base di frutta secca.

Lazio: la sera di natale spazio innanzitutto ai fritti seguiti da una minestra di arzelle o di ceci o, ancora, una pasta al tonno. Poi il capitone e per cambiare gusto un dolce tipico: la nociata o il pangiallo.

A pranzo, cappelletti in brodo di cappone e per secondo assieme al cappone anche la gallina ripiena.

Liguria: cena “frugale” per una tradizione che prevedeva un rigoroso digiuno e che oggi si ispira ai piatti della corrente gastronomia italiana. La tradizione riemerge con forza nel pranzo di Natale con il piatto principale costituito dai maccheroni ripieni di salciccia, i “natalin”, in brodo di cappone. Poi i lessi, il tacchino arrosto “rinforzato” magari da un ripieno di salciccia, i sanguinacci con contorno di radici. Altra specialità della tradizione le lattughe ripiene con tritati di cervello ed animelle e con l’aggiunta di funghi, mollica, uova e parmigiano.

Lombardia: è la regione dove sono più marcate le diversità territoriali nelle usanze gastronomiche. Nel Mantovano si prediligono i tortelli alla zucca, simbolo di “benessere familiare”, ma non si disdegna la polenta con sughi ricchi di salsiccia e carne di maiale. A Milano sulle tavole del pranzo di Natale sono di casa i ravioli in brodo, i lessi, il tacchino arrosto. E, come è ovvio, si conclude con una fetta di panettone. Nel Comasco si fanno apprezzare gnocchetti di fegato e tortelli in brodo.

Nel Pavese agnolotti in brodo, risotto, gallina ripiena e mostarda. Mentre nella zona di Varese il pranzo tipico di natale comincia con agnolotti in brodo di cappone e tacchino ripieno con le castagne.

Marche: cenone ricco per tradizione in questa regione con un inizio a base di maccheroni con lo stoccafisso, spesso seguiti dal capitone arrosto. In alternativa una gustosa pasta al tonno.

Paste ripiene a pranzo che variano da zona a zona: possono essere i cappelletti al sugo come i cannelloni. Poi tacchino arrosto ma non mancano famiglie pronta a gustare anche la galantina di gallina o di tacchino. E un dolce a base di mascarpone o per chi si rifà alle più antiche tradizioni il “festingo” a base di fichi secchi, mandorle, noci e uva passa.

Molise: la vigilia è “sostanziosa” con calzoni ripieni di uova e scamorze, maccheroni in salsa di acciughe, capitone arrosto, cavolfiori fritti e fichi secchi.

Il pranzo non è da meno: nella zona di Campobasso il piatto forte sono i vermicelli alla mollica seguiti dalla scarola ripiena. In altri centri si gustano tagliolini in brodo di tacchino, lessi con salsa piccante e, per finire, i caragnoli e le ceppelliate rispettivamente a base di miele e marmellata di amarene. Il ricordo dell’epoca romana e sannita si perpetua con i mostaccioli immersi in cioccolato fondente sciolto a bagnomaria.

Piemonte: fra le tradizioni della vigilia, non molto sontuose, c’è quella del cuneese dove si usa mangiare un gallo appositamente allevato proprio per il Natale.
Altro piatto da segnalare le cipolle ripiene di magro che si gustano nelle zone vicine al Po e che fanno parte di un cenone di almeno sette portate.

A pranzo non manca mai un primo di agnolotti ripieni di carne e verdure, poi il cappone lessato con salse. Un cappone che veniva cotto un tempo assieme ad un pugno beneaugurante di fieno raccolto a maggio.

Puglia: cena di vigilia ricca con fritti e con portate che rievocano ancora una volta la “magia” del numero 13. D’obbligo gli spaghettini preparati in casa, “vermicidde”, conditi con sugo di pesce, poi il capitone in umido e arrosto.

A pranzo i più tradizionalisti non rinunciano alle immancabili orecchiette o allo “sciuscello” una crema di ricotta e brodo di verdure. Il secondo spazia dall’agnello al tacchino, dal capretto allo spiedo al cappone al forno. E di contorno sono sempre presenti le rape lesse. Fra i dolci spiccano le cartellate, pasta fritta tuffata nel miele e condita con zucchero, cannella, cioccolata tritata grossa, pinoli.

Sardegna: cenone sicuramente abbondante e a base di pesce. Si comincia di solito con la burrida (palombo bollito e marinato) si continua con i “chjusoni” (gnocchi), si tocca il culmine con l’anguilla ed altre specialità di pesce alla brace.

A pranzo l’atmosfera si “scalda” con gli assaggi (frattaglie di agnello arrosto o in agrodolce, funghi sott’olio) poi un fumante brodo di carne vaccina con pecorino fresco acido. Grande varietà dei primi dagli gnocchi ai “malloreddus” (ravioli), ai “fiuritti” (le tagliatelle). Fra i secondi campeggia il tipico “purceddu” con il vino nuovo. E tanti dolci fatti in casa.

Sicilia: la sera di Natale sulle tavole siciliane compare spesso la pasta con le acciughe accompagnata poi da anguille e baccalà. A pranzo non è raro che faccia la sua comparsa anche un sontuoso timballo di riso che richiama antiche reminiscenze arabe. Durante le feste c’è l’usanza di tenere in casa un cesto di vimini con i dolci da offrire: “pasta reale”, cannoli, ciambelle di sesamo, pignolata messinese, torrone.

Toscana: una volta la cena di Natale prevedeva il rigore del magro testimoniato da una minestra di ceci e baccalà accompagnata talvolta da castagne secche cotte in acqua leggermente salata.

Il pranzo si arricchiva di piatti gustosi come i cappelletti in brodo o altra pasta ripiena, cappone e tacchino arrosto

Trentino Alto Adige: anche in questa regione la notte di Natale vede primeggiare le minestre tipiche di queste zone (orzo, fagioli, patate, pasta e riso) seguite dal formaggio fritto.

Per il pranzo di Natale vengono preparati i canederli, la polenta con la cacciagione e i funghi, gli arrosti, i crauti e per chi ha la costanza di arrivare fino in fondo il premio è costituito dallo strudel di mele.

Umbria: vigilia con minestre a base di legumi o spaghetti con le alici, aglio, prezzemolo e pepe. O, ancora, tagliatelle senza uovo condite con baccalà cotto alla brace. Poi ancora pesce come l’anguilla o il baccalà in umido.

A pranzo cappelletti di carne in brodo, cappone lesso e gobbi. Nello Spoletino non mancano gli strangozzi al tartufo, le costolette e i fegatelli di maiale. Sempre a Spoleto la memoria del periodo longobardo è affidata ad un dolce: l’attorta, i cui ingredienti sono comuni allo strudel.

Valle d’Aosta: cenone con brodo caldo, la “motzetta” che è carne tenuta sotto sale con aromi, e “carbonade” un ragù preparato con carne bovina salata, addolcita durante al cottura da cipolla e vino rosso.

A pranzo sempre brodo cui fa seguito il “porchon” (grosse patate ripiene di cavoli, carote, pere bagnate con del Martini secco e cucinate nel lardo). E come dessert il pandolce.

Veneto: attorno al caminetto la notte di Natale si gustano i bigoli in salsa che aprono un cenone ricco di pietanze e che si conclude con la tipica “sbrisolona” (una crostata di mandorle) oppure la pinza, dolce con frutta secca, grappa e mele fresche.

Oltre ai bigoli si possono trovare anche gli “stropei” che sono gnocchi di patate fritti.

Ed in Cadore si ricorda una antica tradizione, quella del “Pan de la Makaneta”. Ad ogni capofamiglia veniva consegnata una forma di pane di circa un chilo. Accompagnata da una fetta di ricotta. L’usanza risaliva al 1488 quando una certa “domina Maria Machagneti” di Calalo redasse un testamento nel quale si raccomandava di celebrare ogni anno quattro messe a suo suffragio, offrendo poi un pasto a tutti i concittadini.
Tradizione che durò fino al 1907.

confesercenti.it

14 dicembre 2007

Natale, in Calabria ci sarà il torrone più lungo del mondo.

MILANO (Reuters) - Quattrocentoventi metri di mandorle, miele e zucchero per realizzare il torrone più lungo del mondo, uno dei dolci tipici delle feste natalizie assieme a panettone e pandoro.
Saranno molte le persone che cercheranno di raggiungere il record a Cosenza (in Calabria), sotto lo sguardo vigile dei membri del Guiness dei primati, come scrive Coldiretti in una nota.
L'iniziativa -- promossa da Coldiretti assieme all'Associazione Commercianti Ambulanti della Calabria -- si svolgerà dalle 21 nel cuore della città, nell'ambito della Sagra itinerante del mostacciolo e del torrone di Calabria.
Secondo quanto riferito, il torrone dovrebbe raggiungere la lunghezza di 420 metri e per prepararlo serviranno 215 chili di mandorle, 150 chili di miele e 50 chili di zucchero.
Una volta terminata l'impresa il dolce sarà tagliato e distribuito gratuitamente a tutti i presenti.
Il torrone -- per le cui vendite si è registrato un aumento del 3,6%, secondo Confesercenti -- è uno dei più richiesti tra i prodotti artigianali della tradizione italiana del Natale.


"Natale, sotto l'albero il tonno italiano che ‘rispetta’ i delfini"

Scritto da Emanuele Amoruso

Un dono per palati fini, con un occhio all'ambiente. Tra i prodotti italiani, spiccano quelli di Callipo, azienda simbolo del 'made in Italy' ittico

La ricerca della qualità emerge anche dalle prestigiose certificazioni ottenute dall’azienda, specializzata nel tonno di tonnara (il più pregiato), Yellofin (pinna gialla) e altri prodotti ittici. La più importante di tutte è senza dubbio la Certificazione di Prodotto, la prima rilasciata nel settore delle conserve di tonno da un organismo indipendente (DNV). Questo significa, fra l’altro, che il tonno pinna gialla della Callipo viene pescato nel rispetto del programma per la salvaguardia dei delfini.
L’azienda ha detto no alla delocalizzazione, puntando tutto proprio sull’importanza della qualità e del ‘Made in Italy’. La lavorazione avviene infatti interamente in Italia nello stabilimento di Maierato, che conta circa 200 dipendenti (il 55% sono donne), e dove vengono prodotte 350 mila scatole e 35 mila vasi di vetro al giorno.
La lungimiranza dell’azienda è stata riconosciuta con il premio ‘Imprenditore dell’anno’ consegnato lo scorso anno a Filippo Callipo, nominato nel 2005 Cavaliere del Lavoro dal presidente Ciampi. Con il suo comportamento infatti, ha dimostrato che anche in un territorio spesso difficile come il Sud, è possibile lavorare seguendo i principi della qualità e dello sviluppo sostenibile. E non a caso la sua azienda è stata scelta dal ministero del Lavoro, unica in Calabria, fra gli esempi di buone pratiche italiane per la responsabilità sociale delle imprese.


5 dicembre 2007

“Mia Martini. Io sono la Calabria”

“Mia Martini. Io sono la Calabria” è la nuova biografia scritta in maniera appassionata da Domenico Gallo ed edito da Laruffa. Il volume ripercorre le tappe più salienti della carriera di Mia Martini, con un porre l’attenzione sui tratti della sua personalità che coincidono con le sue origini calabresi, alle quali è rimasta costantemente legata.
Questa biografia di Mia Martini si propone tre obiettivi a loro modo ambiziosi e rilevanti, ma non irragiungibili, perché c'è lei, con le sue immense qualità di artista e la sua grande personalità, che fa da traino, che rende il cammino percorribile, che da' un sostanziale aiuto. Il primo è quello di collocare le sue aspirazioni, la sua formazione, i canoni della sua arte, le sue modalità espressive, nell’alveo della civiltà storica e culturale calabrese. A questo riguardo non mancano le dichiarazioni da lei rese – a cominciare da quella che introduce le argomentazioni di questo lavoro - di appartenenza e identificazione con il portato di oltre duemila anni di storia, con i costumi, le tradizioni, la “cultura” del popolo calabrese, con il suo spirito di resistenza e rinascita dai mille ostacoli frapposti alla sua esistenza. Mia Martini giustamente intende il percorso storico come un fattore di formazione sociale e spirituale, come impronta della personalità, come canone della convivenza e dei legami familiari e civili. Alcune sue affermazioni (“Io sono la Calabria” corretta in “Io mi sento la Calabria”) hanno la corposità e la perentorietà delle rivelazioni, affascinano e stupiscono per la complessità e la pervicace ricerca che lasciano intravedere. A ritenere possibile il conseguimento del secondo obiettivo, che è quello di stimolare la voglia di ascoltarla e conoscerla sempre di più, contribuisce il sapere che di recente sono stati stampati altri libri su di lei e verificare che la riedizione di suoi album, l’uscita di DVD e il confezionamento di nuovi CD registrano vendite interessantissime, con notevoli incrementi nel tempo. Anche in questo Mia è stata buona profeta, quando, con una punta di rimpianto per la sua esistenza finanziariamente sempre travagliata, diceva: “Vedrete, dopo la mia morte, faranno i milioni con la vendita dei miei dischi”. È spesso destino dei grandi di essere convenientemente e maggiormente apprezzati dopo la loro morte! Il terzo obiettivo, quello più ambizioso, è di dimostrare che la sua statura artistica si eleva altissima nel panorama della musica leggera italiana, di dimostrare che lei è un’altra cosa, una rinnovatrice, l’inventrice del modo totale d’intendere l’interpretazione, di teorizzare e perfezionare la magica fusione di melodia, testo, modulazione della voce, partecipazione emotiva, l’UNICA, come ripetono in molti colleghi musicisti e poeti, è un obiettivo di cui si pensa di aver posto consistenti presupposti per la sua affermazione e ratificazione.
La prefazione è a cura del Professore Giuseppe Bertè, che ringrazia così l’autore:
“Caro Domenico, il tuo lavoro su Mia Martini è una sorpresa toccante e gratificante. Toccante perché, da calabrese, hai saputo cogliere e trasmettere i vari e complessi aspetti della natura della ‘Mia bagnarota’; gratificante perché la tua approfondita analisi è un inno a Mia Martini, grandissima artista ‘interprete’ e alla nostra terra di Calabria, ricca di geni e di valori universali”.

Fonti: chezmimi.it laruffaeditore.it