L'arte di strada è il suo mestiere, o almeno lo è stato fino a questo
momento: "Non volevo barattare la mia libertà con un lavoro qualsiasi,
per la gratifica di uno stipendio a fine mese. Volevo fare ciò per cui
ero nato, suonare e cantare, e regalare bellezza”. Così, ha viaggiato in
giro per l'Europa prima di approdare su RaiDue e vincere il talent
condotto da Federico Russo.
Alla redazione di The voice of Italy lo chiamano “bronzo di Riace” per le sue origini calabresi, ma pure Leonida
per il profilo greco che tradisce la somiglianza con il re spartano che
Hollywood ha imposto all’immaginario collettivo con il celeberrimo 300
di Zack Snyder. Ma Fabio Curto, 27 anni, da Acri, cantautore e polistrumentista, preferisce chi lo paragona ad Enea,
che “nonostante la paura non rinuncia a combattere come un leone nel
campo di battaglia acheo”. E di strada ne ha fatta tanta Fabio,
letteralmente, prima di approdare al talent show di Rai Due, dove si è
esibito in un’interpretazione da brividi di Take me to church di Hozier durante le blind audition -oltre 25mila le visualizzazioni su YouTube-, conquistando tutti i coach (ha scelto di entrare nella squadra dei Facchinetti, i primi a voltarsi).
A Bologna è frequente sentirlo suonare con la sua chitarra o il violino nelle vie del centro e della zona universitaria. Perché l’arte in strada
è il suo mestiere. Una scelta che ha maturato con ponderazione, e che
racconta con estrema serietà. “Sono arrivato a Bologna nel 2007”
racconta a FQ Magazine “per studiare scienze politiche. Dopo la
laurea mi si sono prospettate due strade: o specializzarmi in
criminologia o fare il musicista. Suono da quando avevo 5 anni e
compongo da quando ne avevo 12: probabilmente il mio destino era già
scritto, ma mi sono preso una pausa di riflessione”. Così parte nel 2012
per un viaggio nell’est Europa, tra Ungheria, Serbia e Romania.
Un percorso in solitaria, fuori dal caos della metropoli, in cerca di
esperienze umane e sincere. Sembrerebbero quasi immagini da cartolina, o clichè letterari,
non fossero raccontati da Fabio con disarmante sincerità: In
Transilvania, vagando su treni regionali, ho visto zingari che suonavano
sui bordi del fiume, e quella semplicità mi ha indicato la strada da
percorrere. Non volevo barattare la mia libertà con un lavoro qualsiasi,
per la gratifica di uno stipendio a fine mese. Volevo fare ciò per cui
ero nato, suonare e cantare, e regalare bellezza”. Così comunica ai
genitori la sua scelta e comincia a suonare in strada.
Inizi non facili (“non avevo i soldi per pagare l’affitto e le persone
che mi ascoltavano mi ospitavano a turno: la strada ti fa regali
inaspettati”), ma oggi, dice, “il mio stipendio è dignitoso,
pari a quello di un qualunque impiegato. Con la differenza che ricevo
sorrisi e ringraziamenti per quello che faccio: merce rara
nell’esistenza frenetica nella quale quotidianamente ci dibattiamo”.
Di fronte alle telecamere di The voice sembra un artista consumato:
“So di dare questa impressione, ma la mia paura è sempre tanta. Solo che
non la considero un freno, ma una spinta a superarla”. Ripescato
dall’edizione 2014 (“avevo fatto i provini tardi, ma ero piaciuto, così
mi hanno richiamato per passare direttamente alle blind audition
per questa edizione”), Fabio è salito sul palcoscenico “guardando
sempre il pubblico: sono loro che mi hanno dato da mangiare in questi
anni. I giudici di The voice sono senza dubbio autorevoli, ma in strada
io ne incontro ogni giorno: a loro, e solo a loro, devo tutto”.
tratto da il Fatto Quotidiano.it
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