Si vuole che il primo nome della Calabria fosse stato "Aschenazia" dal suo primo abitatore "Aschenez", nipote di Jafet, figlio di Noe'. Egli sarebbe approdato sulla costa dove ora sorge Reggio Calabria, che, a perenne memoria dell'ipotetico avvenimento, ha intitolato a lui una strada: "via Aschenez ".

17 ottobre 2012

Saverio Strati, il grande scrittore dimenticato dalla Calabria

La memoria non è solo del passato ma è anche di un presente prezioso e vitale avvolto nell’oblio e che dunque merita di essere riscoperto. Ecco perché la rubrica ospita, in questa occasione, un articolo su Saverio Strati, lo scrittore calabrese tra i più grandi del novecento ancora vivente, che ha compiuto 88 anni lo scorso 16 agosto e che da oltre mezzo secolo vive ‘lontano’ dalla Calabria, nel fiorentino. Nato a Sant’Agata del Bianco, in provincia di Reggio Calabria, Saverio Strati, insignito del premio Campiello nel 1977 con “Il Selvaggio di Santa Venere”, non ha conosciuto i tributi e gli onori che invece avrebbe meritato ma soprattutto non ha goduto e non gode ancora di un’adeguata conoscenza da parte degli stessi calabresi.
Dal 1964 vive a Scandicci, alle porte di Firenze in condizioni di indigenza da qui l’iniziativa nel 2009 del ‘Il Quotidiano della Calabria’, di chiedere per lo scrittore della piccola cittadina jonica reggina i benefici della Legge Bacchelli che dispone l’erogazione di un vitalizio straordinario per quei cittadini che si siano distinti in un ambito del sapere o del fare, dunque delle eccellenze, che versino in condizioni di difficoltà economiche. Lo scrittore calabrese scrisse al quotidiano una lunga lettera di cui riportiamo la parte finale: ‘Con i premi di cui ho detto e la vendita dei libri avevo risparmiato del denaro che ho usato in questi anni di silenzio e di isolamento. Ora quel denaro è finito e io, insieme a mia moglie, mi trovo in una grave situazione economica. Perciò chiedo che mi sia dato un aiuto tramite il Bacchelli, come è stato dato a tanti altri. Sono vecchio e stanco per il tanto lavoro. Sono sotto cura, per via della pressione alta. Esco raramente per via che le gambe a momenti mi danno segni di cedere. Nonostante questi guai porto avanti il mio diario cominciato nel 1956. Ho inediti, fra racconti e diario, per circa 5000 pagine. La mia residenza è a Scandicci’.
Dopo la significativa campagna di sensibilizzazione del giornale calabrese e una lunga trafila burocratica, il beneficio della legge Bacchelli viene concesso dal Consiglio dei Ministri nel dicembre del 2009.  La sua regione, la Calabria, lo conosce poco ma quella parte che lo conosce non lo ha mai dimenticato e, prima che la legge Bacchelli nazionale fosse operativa anche per lui, il consiglio regionale varò la cosiddetta Bacchelli calabrese che riconosceva a Saverio Strati un assegno vitalizio annuo in quanto calabrese illustre. Inoltre la stessa Regione ha deciso, alcuni anni fa, di investire sulla cultura e sulle eccellenze calabresi acquistando i diritti di “Cari parenti” affinchè fosse ristampato e divulgato dalle biblioteche delle scuole calabresi al fine di dare spazio e voce ad un illustre conterraneo troppo a lungo ingiustamente e colpevolmente ignorato.
Alcuni suoi romanzi hanno fatto il giro del mondo e sono stati tradotti in francese, in inglese, in tedesco, in bulgaro, e in slovacco e in spagnolo e alcuni suoi racconti sono apparsi in riviste cinesi e in antologie dedicata alla narrativa contemporanea italiana: in Germania, in Olanda, in Cecoslovacchia e in Cina.
Strati inizia a riordinare i primi racconti, che andranno a formare il suo primo volume pubblicato La Marchesina, nel 1956, il suo primo libro sulla ndrangheta in cui ne racconta riti, formule, pensieri e azioni dei clan calabresi, poi ripresi e approfonditi nel 1967 quando l'ex 'ndranghetista Serafino Castagna affida a un libro scritto con Antonio Perria intitolato "Tu devi uccidere", e pubblicato dall'editrice ‘Il momento’ di Milano. Siamo in tempi in cui non solo non si conosceva il fenomeno mafioso calabrese al di là dei confini regionali, ma neppure lo si nominava. Furono i personaggi dei romanzi di Saverio Strati come Leo ne “Il Selvaggio di Santa Venere” (Mondatori, Milano) e prima ancora quelli de “La Marchesina” ad introdurlo, poco dopo la pubblicazione dell’articolo del poeta-scrittore e giornalista di San Luca Corrado Alvaro, sul Corriere della Sera del 17 settembre 1955. Fu allora che si parlò per la prima volta di ‘ndrangheta fuori dai confini della Calabria. “Per la confusione di idee che regnava fra noi a proposito di giustizia e d’ingiustizia, di torto e di diritto, di legale e di illegale, per gli abusi veri e presunti di chi in qualche modo deteneva il potere, non si trovava sconveniente accompagnarsi con un ‘ndranghitista”. Solo nel mese di ottobre 1955 la parola ‘ndrangheta finì in Parlamento. Solo nel 2010 sarebbe stata introdotta, con indicazione specifica, nel codice di procedura penale.
Ma torniamo alla ‘Marchesina’ la cui pubblicazione fu molto caldeggiata dal suo docente presso l’Università di Messina, il critico letterario Giacomo Debenedetti che in persona presentò ad Alberto Mondadori, a Milano, il suo lavoro. Siamo appunto nel 1956, quando cominciò a lavorare anche alla stesura del suo primo romanzo La Teda che avrebbe visto la luce con gli stessi caratteri nel 1957 e che sarebbe stato seguito da Tibi e Tascia nel 1959. Al seguito della moglie Hildegard Fleig, si recò in Svizzera dove scrisse gli altri due romanzi Mani Vuote e Il Nodo pubblicati rispettivamente nel 1960 e nel 1966. Sempre qui venne concepito e prese forma Noi Lazzaroni pubblicato nel 1972.
“Settembre con le sue belle giornate sen’era andato e s’era presentato ottobre con tanti colori diversi e anche tanta frescura e mille profumi di uva, pere e fichi.
Negli ultimi giorni di questo mese piovve parecchio. La terra s’imbrosacò, o inzuppò, s’ammollò parecchio e zappare era assai più pesante che trascinare la croce la sera del venerdì santo. Lavoravamo con piccone per poter pulire perbene la terra dalle erbacce. Non avevamo più unghie, dato che ad ogni colpo ci toccava levare manate di gramigna, di radici di pulicarie, di menta selvatica, di ortiche e di tante altre schifezzerie che divorano le sostanze della terra. Dietro di noi c’erano mucchi di zavorra. Montagne. La terra coltivata ne era letteralmente coperta” (da “Il selvaggio di Venere”).
L’opera di Saverio Strati è un continuo tributo alla sua terra, alla fatica necessaria per lavorarla. Un racconto che si dipana attraversando l’Italia sul filo di una riconciliazione con la cultura di origine che non solo ha dato i natali al suo talento ma che lo ha anche reso fervido nel tempo. La solitudine, l’isolamento, le rinunce e poi il distacco dalla Calabria, l’emigrazione, specchio oggi più di ieri dell’identità di una società in continuo movimento, è metafora di quello sradicamento la cui portata si scopre passo dopo passo e mai al momento della partenza.
fonte: Strill.it

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